Villa Fidelia - Hispellum 2017 Programma

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Curiosità
VILLA FIDELIA
NOTE SUL SANTUARIO “FEDERALE” DEGLI UMBRI PRESSO VILLA FIDELIA (testo integrale)
Paolo Camerieri
Le prime notizie rispetto all’esistenza di un santuario “federale” del nomen umbro nel quale venivano
annualmente celebrati ludi scenici e gladiatori provengono dal cosiddetto “Rescritto di Costantino agli
spellani” datato tra il 333 ed il 337, rinvenuto nei pressi del teatro romano una volta antistante Villa
Fidelia (prima delle estese demolizioni ottocentesche)1.
L’epoca estremamente tarda di questa tradizione non deve sorprendere in quanto lo stesso rescritto ne
chiarisce motivazioni e contesto. Costantino infatti concede agli umbri di Hispellum di potersi riunire per
celebrare i ludi sacri non più a Volsinii insieme agli etruschi, come era antica tradizione, bensì da soli
presso Spello. Alcuni hanno formulato l’ipotesi che l’antica consuetudine fosse quella di celebrare la
festività annuale per conto proprio, facendo risalire l’uso della celebrazione comune con gli etruschi alle
riforme istituzionali del tardo impero che alla fine portarono con Diocleziano all’accorpamento di
Tuscia et Umbria in un’unica provincia, che avrà nel V e VI sec come capitale Perusia, come ci tramanda
Procopio nella Guerra gotica. L’ipotesi erudita e per certi versi verosimile in quanto prevederebbe
celebrazioni a base etnica separate per i due popoli, è tuttavia contraddetta dal testo stesso del Rescritto
che parlando della prisca consuetudine si riferisce inequivocabilmente ad una celebrazione comune già
dall’ origine della celebrazione stessa: …Cum igitur ita vos Tusci- ae adsereretis esse coniunctos, ut in istituto
consuetudinis priscae per singulas annorum vices a vobis (a)dque praedictis sacerdotes creentur, qui aput Vulsinios
Tusciae civitate ludos schenicos et gladiatorum munus… (Pertanto, affermando voi di essere congiunti alla
Tuscia da un'antica consuetudine per cui, ogni anno, tanto voi quanto da coloro (cioè i Tusci) sono
nominati sacerdoti, i quali a Volsinii allestiscano spettacoli teatrali e di gladiatori) giochi separati.
Dobbiamo quindi concludere che “l’antica tradizione” non possa che essere quella della celebrazione
comune di ludi annuali scenici e gladiatori, da parte delle popolazioni di cultura umbra ed etrusca riunite
in “leghe” che esprimevano per l’occasione un unico rappresentante (coronatus), presso il fanum
Voltumnae di Volsinii, e che quindi il sacerdote umbro, che con tutta evidenza almeno nella occasione
contemplata dal Rescritto risiedeva a Spello, fosse costretto a recarsi ogni anno presso tale località
assieme a tutta la delegazione umbra. Ma tale viaggio attraverso i Monti Martani e le selve tra Todi ed
Orvieto, si deve essere rivelato ad un certo punto sempre più rischioso, a causa degli endemici e
crescenti fenomeni di brigantaggio verificatisi lungo il tragitto, tali da richiedere anche interventi a
livello imperiale documentati già dal 246, da parte di Filippo l’Arabo.
Riconoscendo quindi fondata su validi motivi la richiesta degli umbri, Costantino la accoglie
benevolmente, interrompendo così una lunghissima tradizione, che purtroppo non ci è dato sapere a
quando rimontasse.
Uno spiraglio di luce in questo senso è venuto forse da recenti studi che rivalutando il ruolo economico
della transumanza, tra costa maremmana del Mar Tirreno e Appennino umbro-marchigiano, legano di
fatto indissolubilmente attraverso fortissimi e comuni interessi di pascolo, le popolazioni umbre
(proprietarie dei pascoli estivi tra Subasio e Appennino), con quelle etrusche (proprietarie dei pascoli
invernali sul mare)2.
A favore di un riconoscimento del sito del santuario etnico degli umbri presso la odierna Villa Fidelia
gioca non solo il rinvenimento del rescritto al suo interno, ma anche la presenza di tutti gli elementi
cultuali e funzionali ad esso, citati nel rescritto stesso, ossia teatro ed anfiteatro, oltre che templi e
ninfei, disposti rigorosamente secondo i canoni architettonici di simmetricità assiale, dell’architettura
ellenistico-italica, che trova concreta e documentata espressione nel modello tipologico teatro-tempio3.
Queste caratteristiche intrinseche di imponenza e maestosità ottenute seguendo e perfezionando il
modello del santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, unito a quello del tempio di Ercole
Vincitore a Tivoli, che il santuario di Spello aveva acquisito con Augusto, furono mantenute e
interessato in modo molto ridotto dagli interventi costantiniani, come l’archeologia ha cominciato a
rivelare dai primi scavi effettuati dal 1993 al 1996 sotto la direzione scientifica della Soprintendenza
Archeologica dell’Umbria. Ciò vuol dire che il santuario esisteva da prima della individuazione
“ufficiale” come luogo di celebrazione dei ludi annuali degli Umbri da parte di Costantino, e che ebbe
una generale sistemazione paesaggistico-monumentale da parte di Augusto nell’ambito dei noti benefici
concessi ad Hispellum, divenuta sua fedele colonia dopo la “Guerra di Perugia”del 40-41 a. C.
Il tempio di Venere presente nel santuario di Villa Fidelia (sotto l’attuale convento delle suore
Missionarie Francescane d’Egitto), è in effetti a tutt’oggi l’unico edificio religioso antico della intera
Valle Umbra del quale si conosca con certezza la divinità a cui era dedicato. Non si conosce ad esempio
neppure la titolazione del tempio gemello che doveva sorgere in corrispondenza della odierna villa
Costanzi (ex Casino di Villeggiatura). Alcuni suppongono si trattasse di Minerva a causa di una epigrafe
che ricorda una aedes ad essa dedicata, rinvenuta nel presso la Chiesa Tonda, ben fuori dal perimetro del
santuario. Rinvenimento ancor meno risolutivo se si considera che la chiesa Tonda era probabilmente
in costruzione, e nel momento in cui analoghi lavori edilizi interessavano la cripta della cattedrale di
Foligno, dove forse non a caso esiste una base con epigrafe dedicatoria proprio a Minerva. Venivano
entrambe dallo stesso luogo? Il tempio era però a Spello o a Foligno?
Altri ancora, basandosi sul rinvenimento di una basetta facente riferimento a Iuppiter, legano la titolarità
del santuario al padre degli dei considerando secondario il culto di Venere4, sebbene questa divinità
fosse venerata già almeno dal II sec. a.C., in un tempio vero e proprio e di dimensioni piuttosto
ragguardevoli per l’Umbria (non certo un piccolo sacello). Altri ancora tendono ad identificare il
santuario etnico degli Umbri con quello descritto da Plinio il Giovane nella epistola riguardante le
Fondi del Clitunno, dove testimonia la presenza di un tempio molto antico dedicato a Cltumnus (letto
come Giove Clitunno), affiancato lungo il corso del fiume, da altri sacelli e piccoli luoghi di culto
secondari. Senza trascurare la ulteriore testimonianza di Svetonio che nelle vite dei Cesari, parlando di
Caligola, riferisce che l’imperatore si recò a visitare il “..nemus flumeque Clitumni Mevaniam…”. Ossia il
bosco sacro del fiume Clitumno a Mevania! Come se il luogo principale di culto si fosse spostato dalle
sorgenti a Bevagna.
Cos’era successo nel frattempo? Si era spostato il santuario?
Già da queste brevi ed affrettate considerazioni emerge una situazione assai complessa in cui gli aspetti
diacronici sono di difficile discernimento, e tanto meno appare possibile trarre conclusioni, sembra più
realistico e verosimile immaginare una situazione di “culto diffuso”, sul modello dei sabini “Nemora
Vacunae”, estesi probabilmente dalle Fonti termali di Cutilia al versante occidentale della piana reatina.
In questo caso dovremmo immaginare l’intero corso del Clitunno circondato dal bosco sacro e da
sacelli a varie divinità con funzione iatrica e mantica.
Funzioni che non dovettero essere estranee neppure all’altro versante della valle.
Augusto aveva già provveduto a dare al santuario di Spello la sua immagine monumentale definitiva
utilizzando un modello ellenistico evoluto ed adattato alle circostanze, legato strettamente alla colonia
di Hispellum ed alla sua centuriazione, ossia ai suoi coloni veterani, per i quali Venere rappresentava
ormai non più tanto l’attualizzazione delle prerogative della Cupra umbra, quanto la divinità poliadica e
propizia alla fertilità del suolo e della famiglia, di cui avevano bisogno. Sembra infatti verosimile
supporre che analogamente a quanto avveniva al santuario di Praeneste (Palestrina), dove la Fortuna era
venerata in almeno due epiclesi, a Spello Venere potesse essere anch’essa venerata in almeno due aspetti
particolarmente cari ai militari ed ai coloni, aspetti già per altro attestati in Umbria (Venus Victrix, Venus
Felix?), e con tutta probabilità abbinati a Fortuna.
Venere è però anche la dea progenitrice della Gens giulio-claudia, rappresentata prima nel tempio di
Marte ultore a Roma e poi come personificazione sacra delle donne della famiglia imperiale con in
mano il melograno, segno di fertilità e abbondanza. Ed è probabilmente questa la immagine più vicina a
quella che dedicano Marco Granio e Sesto Lollio nel rinnovato e ampliato tempio di Venere, in
sostituzione della vecchia statua “nuda”, trovata in frammenti dagli Urbani all’atto della costruzione
della loro prima villa sul sacello intorno al 1600, della quale riferisce il contemporaneo storico e
magistrato ispellate Fausto Gentile Donnola.
In conclusione nell’attuale sito di Villa Fidelia è con ogni probabilità esistito prima (III-II sec. a.C), un
luogo sacro piuttosto importante dedicato almeno ad un culto umbro antecessore di Venere. In seguito,
in età repubblicana nella fase di municipalizzazione della Valle Umbra (II-I sec. a.C), questo sito viene
monumentalizzato almeno nella parte sud-orientale verso la città, poi, in età augustea la imponente
monumentalizzazione paesaggistica del versante viene estesa ulteriormente fino a coinvolgere l’intero
piede (costruzione del teatro), come a Palestrina, creando una rigida simmetricità di puro modello
ellenistico. Il santuari acquista così la sua conformazione definitiva, dove Venere, questa volta in varie
epiclesi, non ultima in quella di progenitrice della gens Julia, e di personificazione della Fortuna ha
sicuramente un ruolo preminente, tanto da rimanere nella toponomastica moderna e contemporanea
anche dopo l’obliterazione del tempio.
Augusto realizza in effetti il più grande augusteum dell’Italia centrale, e non a caso Costantino quando
dovrà scegliere dove far celebrare i ludi annuali degli umbri, sceglierà proprio il santuario imperiale di
Spello dove farà costruire, guarda caso, un grande tempio dedicato proprio alla sua imperiale gens flavia:
in cuius gremio aedem quoque Flaviae,hoc est nostrae gentis, ut desideratis, magnifico opere perfici volumus, ea
observatione perscripta, ne ae- dis nostro nomini dedicata…; ma a condizione che non sia contaminato dagli
inganni di qualsiasi contagiosa superstizione: …cuiusquam contagiose superstitionis fraudibus polluatur. Come
non vedere in questa locuzione il riferimento piuttosto esplicito e diretto alla dedicazione almeno di una
parte del santuario a Fortuna? Culto al quale è coessenziale lo svolgimento di attività a carattere mantico
e divinatorio, esattamente come a Palestrina, con estrazione di sortes e lettura del futuro a pagamento da
parte del sacerdote addetto. Esattamente le “contagiose e fraudolente superstizioni” stigmatizzate dal
Rescritto.
Ma l’aver espresso questa preoccupazione proprio con riferimento al nuovo tempio da dedicarsi alla
Gens Flavia sembra suggerire anche il rischio di una vicinanza fisica tra il nuovo edificio e il luogo dove
si svolgevano questi riti superstiziosi e fraudolenti. Questo luogo è stato individuato già in passato5 nella
grande esedra ninfeo che sorge al centro del primo terrazzamento, sull’asse principale di simmetria del
santuario e che presenta in sotterraneo articolazioni adatte al nascondimento subacqueo di sortes. In
conseguenza di ciò è più che verosimile che il nuovo tempio di Costantino (probabile rifacimento di un
5 CAMERIERI-MANCONI cit.
preesistente), sorgesse proprio in questo luogo deputato centrale, dinanzi al ninfeo opportunamente
defunzionalizzato e disaugurato.
In merito alla identificazione del luogo dove sia stato realizzato il tempio, la presente interpretazione
sembra maggiormente fondata di quella che lo vede corrispondere alla odierna cappella absidata di San
Felice-Fedele, che sebbene possa essere stata edificata nel IV sec. come suggerito dalla lettura filologica
delle murature perimetrali6, ben difficilmente può essere interpretata come edificio templare, e tanto
meno identificata con il “magnifico tempio” voluto da Costantino proprio nell’Augusteum della Valle
Umbra, se non altro perché avrebbe avuto il pronao irritualmente affacciato direttamente sulla strada
pubblica. Questa caratteristica in particolare ci indirizza verso un’altra ipotesi, ossia che si tratti in realtà
dell’atrio di accesso nord-occidentale all’area del santuario (ne doveva esistere uno simmetrico dal lato
opposto ora distrutto, vedi ricostruzioni planimetriche in bibliografia). Luogo questo dedicato alla
collocazione di statue onorarie dei sacerdoti(abside), come appunto quella di Matrino Aurelio, la cui
base fu rinvenuta nei pressi, e delle epigrafi dedicatorie e celebrative come appunto il Rescritto di
Costantino, tornato alla luce anch’esso nelle immediate vicinanze.

1 Il rinvenimento avvenne “…il 12 Marzo del 1733 vicino alle rovine del teatro […] in faccia alla Fidelia oggi Piermarini”, in
un campo probabilmente appartenuto alla Compagnia della Morte, che aveva terreni tutto intorno alla chiesa di San Fedele,
tanto è vero che serviva da lastra tombale. Cfr. MANCONI – CAMERIERI - CRUCIANI 1996.
2 Cfr. CAMERIERI 2015
3 In merito all’argomento ed agli scavi effettuati nel perimetro del santuario si veda in particolare: CAMERIERI-MANCONI
2012; CAMERIERI-MANCONI 2011; MANCONI – CAMERIERI - CRUCIANI 1996.
4 L’ipotesi, indubbiamente dotta e suggestiva, appare puramente congetturale solo che si considerino le reali condizioni ed il
contesto di rinvenimento, avvenuto in una zona periferica oltre la scena del teatro, in concomitanza di una villa romana
venuta alla luce nel corso della realizzazione della odierna superstrada Centrale Umbra della quale non si conosce la reale
estensione e conosciuta come di Casa Silvi. C’è quindi il concreto rischio che ci si trovi fuori del perimetro del santuario e in
una situazione insediativa residenziale, ed in un contesto stratigrafico difficile, sconvolto dalle costruzioni moderne presenti
su di esso. In questi casi, come noto, la prudenza è d’obbligo, anche perché non è più possibile accertare la provenienza del
reperto e chiarirne il rapporto col suo reale contesto originario.

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