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Il Rescritto di Costantino



IL RESCRITTO DI COSTANTINO AGLI UMBRI

Siamo in presenza di una lastra marmorea rettangolare divisa in tre frammenti combacianti e usurata lungo il margine inferiore sinistro; fu rinvenuta il 12 Marzo del 1733 vicino alle rovine del teatro e non distante dall’anfiteatro (“vicino alle ruine del teatro nel casale Diamanti […] in faccia alla Fidelia oggi Piermarini”, Anonim. 43); collocata per lungo tempo nella sala dell’editto del palazzo comunale, poi nella sala degli Zuccari, si conserva oggi nel Fondo Antico della Biblioteca comunale.

Misure: 160 x 56 x 5,4; lett. 1- 3,5.

L’iscrizione è una copia del rescritto di Costantino agli Umbri (l’originale documento della cancelleria imperiale, in materiale deperibile, sarà stato conservato presso gli archivi cittadini), in risposta ad una petizione che gli Umbri stessi, con la mediazione della  colonia di Hispellum, rivolsero all’imperatore circa la     possibilità di celebrare nel proprio territorio i riti e le manifestazioni  ludiche connesse all’institutum consuetudinis priscae (rr. 16-17) che li legava alla Tuscia e all’antico centro etrusco diVolsinii. L’imperatore (o, più probabilmente, i suoi figli: vediinfra) acconsente alla richiesta e manifesta la propriabeneficentia concedendo alla città di Spello l’appellativo diFlavia Constans e la licentia di celebrareludi scaenici e munera gladiatorii tramite il proprio sacerdos nel territorio della colonia, lasciando che le  celebrazioni presso Volsinii si svolgessero separatamente; l’imperatore dispone inoltre la costruzione di un tempio dedicato al culto della gens Flavia, che non avrebbe dovuto però essere contaminato dagli inganni di nessuna contagiosa superstitio (rr. 46-47).

Circa l’institutum priscae consuetudinis, mentre alcuni storici ritengono che le radici di questa federazione religiosa tra Umbri ed Etruschi vadano ricercate molto addietro nel tempo, e per la precisione in relazione alla lega dei dodici popoli etruschi che si riuniva al Fanum Voltumnae, presso Vulsinii, altri sono dell’opinione che le cerimonie comuni risalgano all’età di Marco Aurelio, quando per l’appunto Regio VI e Regio VII vennero annesse all’urbica dioecesis; questi presupposti dovettero poi essere alla base dell’accorpamento di Tuscia et Umbria in un’unica provincia nella riforma amministrativa di Diocleziano. Nell’età di Costantino spetta al sacerdote del culto imperiale l’organizzazione del culto e di munera e ludi scaenici: particolare dovette essere il peso del coronatus Tusciae et Umbriae menzionato in un’altra iscrizione (CIL, XI 5283) nella mediazione presso l’imperatore e rilevante il suo ruolo in conseguenza della decisione di Costantino.

Circa la costruzione di un tempio dedicato alla gens Flavia, Filippo Coarelli ha messo giustamente in rilievo che esso deve essere identificato con il luogo di rinvenimento del rescritto, un’aula allungata provvista di abside, inserita all’interno del santuario ‘etnico’ degli Umbri, che comprendeva anche un teatro e un anfiteatro; all’edificazione del luogo di culto va inoltre collegata l’istituzione di un pontifex della gens Flavia (vedi sempre CIL, XI 5283), il tutto contestualmente ad una politica religiosa che mira ad  eliminare ogni forma di contagiosa superstitio, vale a dire particolari cerimonie pagane ritenute disdicevoli per quel particolare  momento storico, in cui Costantino cerca di creare una “religione di Stato” accessibile a tutti, insistendo dunque sul culto imperiale.

Il documento è altresì importante perché testimonia la presenza e il perdurare del successo dei munera gladiatorum nel basso impero; rappresenta inoltre un importante specchio dell’evoluzione della lingua latina nei documenti ufficiali.

È possibile pertanto ipotizzare che il ritorno alla prisca consuetudo sia da identificare con il ritorno ad una situazione di culto in cui i riti e i giochi venivano celebrati separatamente a Volsinii e ad Hispellum; nonostante gli antichissimi rapporti tra queste due importanti e limitrofe aree etnico-culturali, è più verosimile che l’accorpamento di età dioclezianea (e quindi l’unità ‘religiosa’) sia da attribuire alla preesistente unità amministrativa di età antonina.

Si notino, al di sotto dell’ultima riga del testo, ulteriori linee guida.

Per quanto concerne la datazione del documento, possiamo inquadrarlo tra il 333-337 d.C., per il formulario: la menzione dei tre figli di Costantino: Costantino II, Costanzo II e Costante ci permette di ipotizzare che quest’ ultimo fosse stato nominato Cesare (dopo il 333 d.C.) e l’assenza del titolo di nobilissimi Caesares per i tre figli di Costantino può far pensare che il documento sia stato redatto o negli ultimi mesi di vita di Costantino, oppure nel periodo di interregno (22 Maggio-9 Settembre 337 d.C.), durante il quale l’impero continuò ad essere governato nel suo nome. Non manca tuttavia chi data il rescritto al 326 d.C. o dopo il 337 d.C., quando l’Italia ricadeva sotto l’autorità di Costante: solo così si spiegherebbe infatti il soprannome di Flavia Constans attribuito alla città.

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